Era arrivata all’improvviso, inaspettata forte e cruenta, come tutte le scelte della sua vita.
Stavolta però l’Ispirazione l’aveva aggredito alle spalle, lasciandolo scoperto e vulnerabile, come mai lo era stato.
Piegato su quel libro di matematica, ostinato a cercare di capire l’ennesimo algoritmo, ad un tratto, senza ragione sentì quel suono, un rumore sordo, ripetitivo, che poco a poco si trasformò in una melodia sinistra.
Inseguì con lo sguardo nella sua stanza vuota quell’indizio e voltatosi di scatto capì d’un colpo che ciò che stava cercando non era in quel libro, ma in un altro volume, molto molto più antico, impolverato e con le pagine sbiadite, perso nei meandri bui di chissà quale biblioteca.
Una forza nuova lo pervase, non appena la visione giunse ai suoi occhi.
Adesso DOVEVA trovare quel libro.
Adesso sapeva il perché di tutta l’ansia che aveva accompagnato tutti i suoi anni.
No, non erano state tutte le privazioni che aveva subìto, né le umiliazioni che avevano accompagnato i suoi studi, né la povertà che non sarebbe mai riuscito a scrollarsi di dosso.
No, nemmeno questa e tutta la sua stanchezza poterono impedirgli di uscire fuori, nella notte nebbiosa, alla ricerca della conoscenza.
La città, così squallida e grigia, non era più la stessa.
Il chiarore della luna illuminava i vicoli ed i suoi passi: prima lenti poi sempre più affrettati, adesso quasi correva.
Sapeva benissimo dove andare, anche se non conosceva DOVE era diretto.
Un brivido lo colse prima al tronco per salire subito alle spalle.
Era arrivato, lo capì dall’odore, un misto di terra, di muffa e di marciume che gli bloccò di netto il cammino.
Ormai aveva capito che non sarebbe più tornato indietro, non era più l’uomo di prima: disinteressato a tutto, di nulla preoccupato, mai coinvolto, quasi che la vita non fosse la sua.
Finalmente il momento era arrivato, ora respirava vita vera, assieme all’aria gelata ed umida di quella casa disabitata in fondo alla strada.
Dinanzi ai suoi occhi tutta la maestosità di uno spazio disegnato da chi lo stava aspettando.
Da sempre.
Seppure piegata da anni di abbandono, il fascino della villa non era stato intaccato, anzi….
Il vento cominciò ad alzarsi e la casa iniziò a suonare le sue inconfondibili note, innalzando musiche ancestrali, fatte di cancelli e stipiti arrugginiti, di vetri infranti e tegole spaccate.
La forza, che adesso gli faceva tremare i polsi, lo spinse a entrare.
Si inoltrò all’interno da vero padrone, dalla porta principale, aperta solo da un’anta, ma tutta per lui.
Il buio non lo spaventò, così come il tappeto di cocci rotti sotto le scarpe e gli scrosci dal soffitto, sicuro ormai, come nella sua casa.
La luce proveniva proprio da quella stanza, in fondo al salone.
Afferrò la prima cosa che gli capitò, forse la gamba di un vecchio tavolo ed entrò.
No, questo proprio non se lo aspettava.
L’immagine riflessa in quello specchio sporco, consumato dal tempo, era proprio la sua, ma non quella di oggi.
Riconobbe i suoi pantaloni corti, i sandali e la frangetta, quel sorriso buffo ed ingenuo e finalmente capì.
Poteva finalmente uscire dallo specchio e ricominciare.
Non dall’inizio, ma dall’esatta metà.-