ombre

L’aveva affascinato subito quel suo nuovo lavoro.
Le prime volte che era rimasto fino a tarda sera si era sentito un po’ solo, in verità, ma a confronto di certe compagnie…..
Non c’era di certo molto da fare in quell’appartamento così grande e pulito. Non era ancora riuscito a spiegarsi a cosa realmente servisse tenere in piedi quel mausoleo moderno, né tanto meno chi finanziasse la cosa, che andava avanti da anni, ormai.
Ma in fondo assai poche cose gli importavano più dei suoi studi. Si era ritenuto solo fortunato per quel lavoro che gli permetteva di concentrarsi e di isolarsi dal mondo. Ed era anche congegnale alla sua amata Fisica.  Proprio lei che l’aveva accompagnato senza mai tradirlo, nemmeno un istante, fino alla maggiore età.
Non aveva mai dato importanza, fino a quella sera, al fatto che la casa fosse delimitata da pareti vetrate, sebbene la vista al suo interno fosse celata da fitte tendine alla veneziana, se non per le porte di sicurezza, da controllare alla fine del turno, prima di andare via e di chiudere per la notte.
Aveva quasi finito, per quella sera, il suo giro, quando gli parve di scorgere una piccola ombra venirgli incontro, all’esterno della vetrata, fuori, nella notte fredda ed umida della città.
L’aveva scambiata per la propria ombra, per via della sua stessa camminata, affrettata e solitaria.
L’ombra era solo un povero ragazzo che là fuori aveva sobbalzato, nello scorgere la sua mano che spingeva la porta vetrata, per verificare che fosse ben chiusa.
Però adesso, a causa di quel piccolo incidente, vedeva la casa diversa, non era più un’alleata, ma un’ostile presenza.
Il suo computer brillava come un estraneo nella sua stanza.
I muri sembravano essersi accorti di quell’attimo di imbarazzo e reagivano con l’ospite.
I quadri, tante volte ammirati, adesso sembravano staccarsi dai muri quasi a voler scendere sulla moquette del corridoio, come per accompagnarlo nel suo giro.
La casa si era svegliata.
I faretti delle piante, uniche luci ancora rimaste accese, illuminavano gli spazi vuoti come una torcia illumina un volto dal basso.
Non c’era più molta aria, anche se la casa era grande, troppo grande.
Si accorse che stava correndo, mentre spegneva tutti gli interruttori, ma senza soffermarsi a guardare all’interno delle stanze, com’era uso fare.
Per un istante gli era quasi balenata l’idea che non potesse farcela ad uscire nella fredda notte, ma adesso il vento gelido che gli carezzava la faccia lo rincuorava.
Si strinse nel cappotto e girò la chiave, due volte.
Scese di corsa la scala a chiocciola che conduceva al garage.
Passò ancora una volta davanti alla vetrata dietro alla quale le tendine tenevano ben nascosto l’interno della casa.
La luce fioca della plafoniera sulla balaustra non gli impedì di vedere riflessa nel vetro l’esile figura del ragazzo, che poco prima aveva involontariamente spaventato controllando le porte di sicurezza.
Capì in un lampo che quella piccola ombra lo stava aspettando lì da sempre.
Ricordò d’un colpo le sue più lontane paure, l’intuizione della Fisica: il tempo già vissuto che ritorna, il contatto fra il passato ed il futuro.
E finalmente comprese perché, tanti anni prima, lo aveva così terrorizzato quella casa dalle grandi vetrate e dalle cui tendine era d’improvviso spuntata una mano……….
Quella mano sulla quale aveva tanto fantasticato in gioventù, quella mano che spunta dal buio a spingere sul vetro per uscire, per prenderlo……era la sua stessa mano, trenta anni dopo.
Adesso il ragazzo sorrideva tranquillo alle sue spalle, ma lui non ebbe il coraggio di voltarsi e guardare i suoi occhi.