Certe voci vengono da dentro.
Era convinta, Marta che bastasse distrarsi un attimo, per permettere agli Spiriti del male di affiorare, dalla sua coscienza più profonda, via via fino alla sua mente, salendo fino ai suoi occhi con le loro lunghe vesti nere.
Era così che passava i suoi giorni, scappando di corsa di impegno in impegno, di ansia in ansia, di dolore in dolore.
Le delusioni non bastavano mai a riempire gli attimi, le ore i giorni e le notti. Le notti Marta lavorava, non sempre, ma quanto le bastava per essere abbastanza stanca da dormirne le altre. Vagava, più che stazionare, come le permetteva il suo lavoro. Non si soffermava che su quelle luci blu, che illuminano le strade.
Talvolta le ammirava sole e immobili, occhi nella notte monumenti al buio statico e immenso, fino ad impadronirsi della loro sicurezza, a sfidare le ore lente che conducono al mattino.
Marta sapeva bene quali erano i suoi fantasmi, ma non riusciva ad abbandonare le sue paure. Non era bastata più di un’amica che avesse compreso come quel cappio che la stringeva forte alla gola era stretto dalle sue stesse mani e che una vittima inesorabilmente diviene carnefice di se stessa.
L’ineluttabile sembrava scorrere attraverso i suoi giorni, vissuti di corsa a scappare.
Fino a quella sera.
Sarebbe andata a letto presto, avrebbe chiuso i suoi occhi dalle lunghe ciglia nere, un sospiro in più e poi via, fino a domani.
Ma quella sera non andò come al solito.
Quel suo sguardo caduto su quella piccola piantina, trascinata sull’asfalto, lasciata morire senza una ragione, calpestata, umiliata offesa e vinta, aveva risvegliato in lei qualcosa di nuovo.
Una forza strana le prese i polsi.
Aveva dimenticato come potesse essere grande il richiamo della rivincita sulla Morte.
Fu per questo motivo che la raccolse, portandola via da quella squallida strada, pulendola foglia per foglia, fiore per fiore con la delicatezza che si riserva ad un bambino, accogliendola nella sua casa, come un figlio.
Non ci pensò un attimo, corse a casa con la piantina tra le mani senza guardare dietro, quasi a proteggerla da qualcuno.
Assieme a lei avrebbe sciolto tutti i suoi nodi in gola, si sarebbe pian piano liberata di tutte le paure, una vita come tutte le altre, ad innaffiare la sua piantina sul davanzale.
Sognava così Marta, ed il sogno era così lieve che la mattina non avvertì neppure i suoi soliti dolori allo stomaco………
Sì, anche per lei era arrivata l’ora della riconciliazione, della speranza, della serenità.
E le cose davvero sembravano rifiorire nella sua vita.
Un nuovo lavoro, le luci blu erano ormai solo il ricordo, sia pur lieve, di una vita più solida e stabile.
Come le radici della pianta, che ormai si reggeva quasi da sola.
Un tramonto più viola la ricondusse alla Realtà.
Sulla strada del ritorno a casa dal lavoro girò le spalle ad un presentimento.
Era stanca di fuggire ancora e non gli diede peso.
Sobbalzò vedendo che era ancora lì, sul davanzale, avvolta dalla calda penombra della sera, la pianta che -come lei- aveva ripreso a vivere.
Orgogliosa pensò a chi, passando ogni giorno in strada, avrebbe immaginato dietro quei vetri un faccino pulito, delle mani bianche di farina, un dolce di domenica.
Mani delicate che innaffiano i fiori, ogni giorno con amore.
Rabbrividì dalle mani alla cima della testa in meno di un istante, quando la luce del neon raggiunse le foglie carnose della sua creatura, rivelandone l’inequivocabile colore rosso carminio, Rosso come l’odio che l’aveva tirata fuori dal pozzo.